Se credete che i vostri dati restino confinati nel vostro smartphone, siete più ottimisti di chi tenta di estinguere il mutuo con un Gratta e Vinci da 5 euro. La verità è un’altra, ogni gesto compiuto online, un clic, un like, una ricerca, genera un’informazione. E ogni informazione è potenzialmente un valore economico. I dati personali sono la valuta del nostro tempo.
Viviamo in un ecosistema digitale in cui ogni nostra azione è osservata, registrata e trasformata in merce. Le aziende tecnologiche più potenti al mondo non vendono prodotti, vendono noi. O meglio, vendono tutto ciò che ci riguarda. È il paradosso del web “gratuito”, se non paghi il prodotto, il prodotto sei tu.
Cosa sono davvero i dati personali?
Spesso pensiamo ai dati come qualcosa di tecnico, ma la realtà è molto più quotidiana. Il nostro nome, la data di nascita, le foto postate con filtri da cerbiatto, i percorsi su Google Maps, i like su Instagram: tutto viene raccolto, etichettato, archiviato. E venduto. I dati non sono solo una traccia, sono diventati materia prima per un’industria multimiliardaria.
E non serve un veggente per sapere dove abitiamo o cosa ci piace, bastano un paio di abitudini reiterate, un GPS attivo anche quando pensiamo di averlo spento, o un algoritmo ben addestrato. Basta aver cliccato “naviga verso casa” troppe volte, e Google lo saprà. La tecnologia non indovina, osserva e deduce. E ha ottima memoria.
Il capitalismo della sorveglianza
Ogni app è un potenziale raccoglitore di dati. Anche quando disattiviamo le autorizzazioni più invasive, molti segnali restano attivi. Social network, e-commerce, browser, smartwatch, assistenti vocali, tutto è progettato per raccogliere informazioni. Con il tempo, si costruisce un nostro alter ego digitale che sa esattamente chi siamo, cosa ci interessa e quando siamo più vulnerabili all’acquisto.
Una scrollata su TikTok, una pausa di tre secondi su un video, una chat sulle vacanze in Germania che magicamente si traduce in pubblicità di birra e voli low-cost, tutto è tracciabile. Tutto è interpretabile. E anche se le aziende giurano di non ascoltarci tramite i microfoni degli smartphone, le coincidenze sono sempre meno casuali.
Dove finiscono i dati?
Nei data center, le cosiddette “server farm”: centri di elaborazione giganteschi disseminati in Irlanda, Stati Uniti, India, Finlandia. Luoghi sterili, tecnologici, freddi. A milioni di chilometri da noi, ma pieni dei nostri dati, conservati come un pacco indesiderato spedito e dimenticato. In questi bunker digitali, ogni informazione viene processata, incrociata, ottimizzata per vendere meglio, capire prima, prevedere con maggiore precisione.
E se pensate che la vostra vita non interessi a nessuno, vi sbagliate, anche l’orario in cui impostate la sveglia può essere un dato utile per profilare le vostre abitudini di consumo. L’intelligenza artificiale è in grado di collegare il risveglio alle probabilità di connessione e acquisto. È il marketing predittivo nella sua forma più sofisticata e, in certi casi, inquietante.
I rischi nascosti
Oltre alla profilazione, c’è un problema ben più grave ovvero la sicurezza. Ogni anno miliardi di dati personali finiscono nelle mani sbagliate a causa di violazioni informatiche, bug nei sistemi, o semplicemente per leggerezza da parte degli utenti. E quei dati possono essere usati per frodi, furti d’identità, truffe.
Persino i quiz “innocenti” su Facebook del tipo “Scopri che tipo di pizza sei “chiedono l’accesso al profilo, alle foto, agli amici. Tutto per un contenuto di intrattenimento effimero. In cambio, lasciamo un pezzo della nostra identità digitale in pasto al sistema.
Possiamo proteggerci?
La risposta secca è no, non del tutto. Ma qualcosa si può fare. Serve consapevolezza. Serve leggere davvero cosa stiamo accettando quando clicchiamo su “accetta tutti i cookie”. Serve scegliere password robuste, attivare l’autenticazione a due fattori, aggiornare costantemente app e dispositivi, e limitare l’uso di piattaforme che chiedono più dati di quanti ne servano per funzionare.
Il web non è un posto “cattivo” per definizione. Ma è un luogo dove nulla è gratis. Ogni clic è uno scambio. Ogni ricerca, una dichiarazione. E allora tanto vale scegliere consapevolmente cosa vogliamo dare in cambio di ciò che riceviamo.
Perché in questa rete di dati globali, ogni utente è al tempo stesso pescatore e pesce. E la posta in gioco non è più solo cosa compriamo, ma chi siamo.