Ricordare oggi Lucio, dopo otto anni dalla sua scomparsa, è un dolore personale oltre che un dolore professionale

Erano i primi mesi del 1996 quando Michele Torpedine mi chiese di occuparmi della produzione del nuovo singolo di Paolo Belli. Si trattava di “Adesso grido” un brano funky potentissimo. Obiettivo era quello di presentarlo il 22 maggio dello stesso anno prima della finale della Juventus per la “Coppa dei Campioni” allo stadio Olimpico di Roma. Il turno di missaggio era fissato nello studio di Maurizio Biancani, la Fonoprint, a mezzanotte, unico turno disponibile perché Lucio stava lavorando al suo nuovo album, “Canzoni”, il ventitreesimo della sua carriera che sarebbe poi uscito il 5 settembre 1996 per “Pressing” e distribuito da BMG. Ovviamente, come spesso succedeva, Lucio era in ritardo sui tempi ed io, che arrivai come al solito in anticipo, rimasi con lui qualche ora ad ascoltare i nuovi brani e, soprattutto, a  chiacchierare. Parlammo di musica, di parole e di un sacco di altre cose. Non era la prima volta che le nostre strade si incrociavano ma era forse la prima in cui rimanemmo a parlare. Il turno di Belli iniziò poco dopo le tre di notte e durò fino alle 10 del giorno successivo, quando Lucio riapparve alle mie spalle e mi chiese se avevo finito.

Ricordare oggi Lucio, dopo otto anni dalla sua scomparsa, è un dolore personale oltre che un dolore professionale. Che sia nato il 4 marzo 1943 lo sanno tutti ma, forse, pochi lo ricordano quando, a bordo della sua decapottabile, con delle ciliegie che pendevano dalle orecchie, percorreva via Saragozza a Bologna in canottiera o quando passeggiava per il centro di Bologna portando a spasso una gallina al guinzaglio. Abitava nel centro della città e, ancora oggi, sul campanello della sua abitazione c’era un nome fittizio. Ma non perché Lucio fosse un personaggio che “se la tirava”, anzi. Lucio era un uomo che aveva deciso di mantenere separato il personale dal privato e la sua città ha sempre rispettato sia lui sia le sue scelte di riservatezza. Suo padre, Giuseppe, era il direttore del locale club di “tiro al volo”, situato in via Alberelli, una traversa di via Marco Emilio Lepido. Fu Walter Fantuzzi, marito della socia nella sartoria della madre, che, per il suo decimo compleanno, gli regalò un clarinetto. Così Lucio, da assoluto autodidatta, imparò a suonare lo strumento, esibendosi in alcuni gruppi dilettantistici della città. In qualità di clarinettista divenne membro di un complesso jazz bolognese, la “Rheno Dixieland Band”, di cui faceva parte anche Pupi Avati, non ancora regista, il quale, sentendosi “chiuso” dal talento di Dalla, abbandonò presto il gruppo, trovando poi la via del cinema. Nel 1962 Lucio entra a far parte dei “Flippers”, un complesso, come venivano definiti allora, composto da Franco Bracardi al pianoforte, Massimo Catalano alla tromba, Romolo Forlai al vibrafono e alle percussioni e Fabrizio Zampa alla batteria, e in cui Lucio si aggiunse come voce solista, oltre a suonare il clarinetto e il sax. Lucio forma nel 1966 un proprio gruppo di accompagnamento con i musicisti bolognesi, “Gli Idoli”, con i quali incide il suo primo album, intitolato “1999”. Il disco conteneva due vere e proprie chicche. Si trattava di “Quand’ero soldato”, che vincerà il premio della critica al “Festival delle Rose” e “Pafff…bum!”, brano che venne presentata da Lucio al festival di Sanremo del 1966, abbinato con gli “Yardbirds” di Jeff Beck.

Nel 1971, Lucio partecipa nuovamente al Festival di Sanremo presentando la canzone “4/3/1943”, il cui testo fu scritto da Paola Pallottino, non ancora storica dell’arte, che gli valse il terzo posto assoluto. Il brano, prima di essere ammesso alla manifestazione, conobbe gli strali della censura, che in quegli anni era un forte vincolo per tutti gli artisti della Nuovelle Vague cantautorale italiana. Il titolo originale, “Gesù bambino” fu giudicato irrispettoso anche in considerazione della storia narrata, quella di una ragazza madre che ebbe un figlio nato da una fugace relazione con un ignoto soldato alleato. Fu cambiato, ex abrupto, prendendo come spunto la data di nascita dello stesso Dalla, pur non essendo una canzone autobiografica. Alcune parti del testo, giudicate inadeguate, furono modificate, come ad esempio “mi riconobbe subito proprio l’ultimo mese” che divenne “mi aspettò come un dono d’amore fino dal primo mese”, mentre “giocava alla Madonna con il bimbo da fasciare” fu trasformata in “giocava a far la donna con il bimbo da fasciare” e infine, lo stesso ritornello finale da “e ancora adesso mentre bestemmio e bevo vino… per i ladri e le puttane sono Gesù Bambino” venne modificato in “e ancora adesso che gioco a carte e bevo vino, per la gente del porto mi chiamo Gesù Bambino”.

Poi arrivarono “Terra di Gaibola”, pubblicato nel 1970, “Storie di casa mia” nel 1971 e nel 1973 arrivò “Il giorno aveva cinque teste”, due anni dopo “Anidride solforosa” e l’anno successivo, il 1976, fu il momento di “Automobili”, cui seguì, l’anno successivo, “Come è profondo il mare”. Il 1979 è l’anno di “Lucio Dalla” e nel 1980 di “Dalla”. Alla fine del 1981, il complesso che lo accompagnava decise di intraprendere una carriera parallela, ufficializzando con l’uscita di un 45 giri, la nascita degli “Stadio”. Il nome della band, come ricorda Gaetano Curreri, ebbe origine nella tournée di Banana Republic, durante le estenuanti prove giornaliere, che avevano sempre, come teatro all’aperto, proprio uno stadio e da lì, la scelta del nome. E poi “1983”, “Viaggi organizzati”, “Lucio Dalla – Marco Di Marco”, l’album che confermò il suo amore per il jazz. Il 1986 sarà l’anno di “Bugie” cui seguì, nel 1988, “Dalla/Morandi / In Europa” con Gianni Morandi. Nel 1990 uscì “Cambio” cui seguì, nel 1993, “Henna”. Poi arrivò il 1996 e quella notte in Fonoprint, mentre Lucio lavorava al suo “Canzoni”. Nell’estate del 1998, il sodalizio artistico tra Lucio Dalla e Roberto Roversi, iniziato nel 1973 e che durò ufficialmente sino al 1976, ebbe un’inaspettata quanto gradita appendice. Infatti, nel giugno dello stesso anno, andò in scena un importante spettacolo, scritto dal poeta bolognese nel 1974, dal titolo “Enzo re”, con musiche dello stesso Dalla. L’avvenimento, in collaborazione con l’università di Bologna, farà da preludio a tutta una serie di eventi che si susseguiranno nel 2000, quando la città emiliana sarà proclamata, per quell’anno, “Capitale europea della cultura”. E poi ancora musica e parole, di quelle indimenticabili, sino al 2012, anno che non riuscirà a vivere interamente. Particolarmente profetica è l’ultima strofa della sua canzone “Cara”: “Lontano si ferma un treno / ma che bella mattina, il cielo è sereno / Buonanotte, anima mia / adesso spengo la luce e così sia”. Lucio muore la mattina di un primo marzo, sereno come sempre e reduce da una serata, in un hotel che non dista che pochi passi dalla stazione ferroviaria di Montreux. Era il 2012 e da allora sono passati otto anni.

Nel 77° anniversario della sua nascita, quest’anno esce “PAOLA E LUCIO – Pallottino, la donna che lanciò Dalla”, per le Edizioni La Fronda, il libro del giornalista​ Massimo Iondini, dedicato alla coppia artistica formata da Lucio Dalla e Paola Pallottino. Il libro contiene la prefazione di Gianni Morandi e le testimonianze di Gino Paoli, Renzo Arbore, Ron, Angelo Branduardi e di molti altri colleghi e amici di Lucio, oltre che della stessa Pallottino. Iondini​ racconta retroscena e aneddoti​ degli esordi della carriera del cantautore bolognese​ e svela l’inedita versione​ dalliana del brano​ “La ragazza e l’eremita”, frutto del sodalizio con la​ storica dell’arte,​ illustratrice​ e​ paroliera​ Paola Pallottino. Una breve ma intensa collaborazione grazie alla quale videro la luce canzoni come la già citata “4 marzo 1943”, “Un uomo come me”, “Il gigante e la bambina” e “Anna Bellanna”. A tal proposito, Massimo Iondini racconta «Nel cassetto di Paola Pallottino era rimasta una loro canzone di mezzo secolo fa che, con grande emozione, ho avuto il privilegio di ascoltare​ grazie a un​ provino, pianoforte e voce,​ registrato su una vecchia musicassetta gelosamente custodita per tutto questo tempo.​ Curioso è poi il fatto che diversi anni dopo essere stato musicato da Lucio, il testo de “La ragazza e l’eremita” attrasse anche Angelo Branduardi, che pubblicò il brano nel ’94. Un affascinante e singolare confronto a distanza». Grazie anche alle​ testimonianze esclusive della stessa Paola Pallottino, di Gianni Morandi, Gino Paoli, Renzo Arbore, Ron, Maurizio Vandelli, Maurizio De Angelis, Vince Tempera, Angelo Branduardi e Armando Franceschini, Iondini racconta la carriera di Dalla nei primi anni Settanta​ dall’exploit sanremese di “4 marzo 1943” al giallo de “Il gigante e la bambina”,​ fino alla prematura e​ definitiva rottura del rapporto con Paola Pallottino,​ che aprì la strada alla collaborazione di Lucio con il poeta e intellettuale​ bolognese Roberto Roversi.​ «Fu una pionieristica e fondamentale collaborazione quella tra Dalla e l’allora illustratrice di fiabe Paola Pallottino.​ – dice​ Massimo Iondini​ –​ Un incontro decisivo per la carriera di Lucio a partire dal testo di “Gesubambino”, talmente personale e autobiografico​ da indurlo a intitolare il brano, complice anche la censura della Rai e degli organizzatori del Festival di Sanremo1971, con la sua stessa data di nascita, 4 marzo 1943». Ad arricchire ulteriormente il libro “PAOLA E LUCIO – Pallottino, la donna che lanciò Dalla” è la​ prefazione a cura di Gianni Morandi, che ricorda gli esordi della sua carriera e di quella del suo amico e conterraneo Lucio Dalla.​ Il Comune di Bologna quest’anno, ha deciso di dedicare al suo grande cittadino, una serie di eventi che, purtroppo, non riusciranno ad essere realizzate, a causa dell’emergenza sanitaria in essere, in questi giorni. Ma ciò non ci toglie nulla. Piangiamo un grande artista ma, soprattutto, un grande amico.

Ciao Lucio, tanto sai che ci rivedremo e continueremo la chiacchierata iniziata in quella notte del 1996, Robi.

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