Il 2 giugno non è solo una data sul calendario. È una chiamata degli Italiani alla memoria e alla responsabilità. È il giorno in cui, nel 1946, il nostro Paese decise di cambiare strada, lasciandosi alle spalle monarchia e fascismo, per imboccare il sentiero incerto ma coraggioso e democratico della Repubblica.
Una rivoluzione senza fucili, fatta con la matita dentro una cabina elettorale. Una scelta compiuta dal popolo che per la prima volta vide le donne andare a votare, in un Paese che usciva straziato dalla guerra, affamato di pace e giustizia. Quel giorno, il 54,3% degli italiani scelse di voltare pagina. Non fu un plebiscito: fu un atto sofferto, lucido, pieno di incognite. Ma fu una scelta libera. Ed è da lì che è nata la nostra democrazia.
Settantanove anni dopo, ci chiediamo: siamo ancora all’altezza di quella scelta?
Il rischio, oggi più che mai, è che il 2 giugno venga ridotto a una parata, una festa svuotata di significato, un giorno di vacanza in più. Ma la Repubblica non è un simbolo da sventolare distrattamente. È un patto. Un contratto sociale tra cittadini, che chiede consapevolezza e partecipazione. Non è la Repubblica a garantirci diritti, siamo noi a doverla difendere ogni giorno perché quei diritti continuino a valere.
Ed è proprio qui che iniziano i problemi. La democrazia italiana oggi non è in forma. È disillusa, confusa, frammentata. Si respira un’aria stanca, dove la partecipazione civica si assottiglia, la memoria storica si scolora e l’indifferenza prende il sopravvento. In questo vuoto, risuonano pericolosamente certe nostalgie e pericolose amnesie.
Sì, oggi in Italia la democrazia è in pericolo. Un pericolo sottile, strisciante, che si nutre di ignoranza e di revisionismi accomodanti. Troppi italiani sentono l’eco del fascismo senza comprenderne l’orrore. Senza afferrare davvero la tragedia umana, morale e sociale che fu. Senza ricordare che fu proprio il fascismo a calpestare le libertà, a perseguitare, a sterminare, a negare dignità e diritti agli Italiani.
Eppure, oggi più che mai, c’è chi vorrebbe rimuovere quel passato. Minimizzarlo. Riscriverlo. E questo è inaccettabile.
Abbiamo il dovere, civile, storico, morale, di non rendere vano il sacrificio dei Partigiani, delle donne e degli uomini che hanno combattuto, spesso a costo della vita, per un’Italia libera, giusta, dove tutti i cittadini potessero avere pari opportunità e pari dignità. Diritti che oggi, troppo spesso, vengono ignorati e calpestati. Dal lavoro alla salute, dall’istruzione alla giustizia sociale.
La Repubblica, per restare viva, ha bisogno prima di tutto di famiglie che trasmettano ai figli i veri valori della vita. Di cittadini vigili. Di scuole che insegnino la verità. Di istituzioni che si ricordino da dove vengono e per chi esistono. Di una stampa libera, di coscienze sveglie, di giovani informati, di anziani che raccontano.
Il 2 giugno è la festa di tutti, ma non basta mettersi una bandiera al balcone per onorarla. Serve metterci la coscienza. Serve farci delle domande scomode. Serve resistere a chi vuole farci credere che “una dittatura tutto sommato funzionava meglio”. Serve ricordare che ogni diritto conquistato, ogni libertà che oggi diamo per scontata, è stata pagata con il sangue e con la fame da chi ci ha preceduto.
E allora celebriamolo davvero, questo 2 giugno. Non solo con la memoria nel cuore, ma con lo sguardo rivolto al futuro. Un futuro che non si costruisce con la nostalgia, ma con la responsabilità. Perché la Repubblica è fragile. È come una pianta che ha bisogno di acqua ogni giorno. E quell’acqua siamo noi con il nostro impegno, il nostro coraggio, la nostra voce.
Non dimentichiamo. Non arretriamo. Non restiamo in silenzio. Perché la libertà non è mai scontata. È sempre un passo avanti da fare. Insieme.