Tra le vie di Sferracavallo, le cucine semplici e le giornate scandite dal ritmo del mare, si racconta la storia di una donna che con mani sapienti e cuore grande ha fatto della vita la sua missione. È la storia di Caterina Mannino, esempio di coraggio, professionalità e amore.
Oggi a Sferracavallo, basta pronunciare il suo nome per evocare un ricordo collettivo, perché per decenni Caterina è stata l’ostetrica del quartiere, non solo una professionista, ma un punto di riferimento, una presenza rassicurante e stimata.
Nata nel 1927 nella borgata marinara di Palermo, fu molto più di un’ostetrica. In un’epoca in cui partorire significava spesso rischiare la vita, lei rappresentava una certezza. Primogenita di sette figli, dimostrò fin da giovane una determinazione fuori dal comune, si iscrisse all’Avviamento professionale con un obiettivo chiaro e preciso, diventare ostetrica.
Si formò in una clinica universitaria di Palermo, affiancando un luminare dell’ostetricia e perfezionando una preparazione solida e rigorosa. Nel 1947, conclusi gli studi, fece ritorno a Sferracavallo, dove iniziò a cambiare la vita di molte donne.
Negli anni in cui i bambini nascevano in casa, spesso su un tavolo da cucina, Caterina dirigeva tutto con mani esperte e occhi vigili. Scelse la libera professione quando era ancora un tabù e per arrivare sempre puntuale, Caterina comprò una Volkswagen sportiva col tettuccio apribile, un’auto che a Sferracavallo nessun uomo osava guidare.
Non servivano ecografie: le bastava poggiare l’orecchio sul ventre per ascoltare i battiti, capire la posizione e la salute del bambino. Aveva un dono, ma anche una dedizione assoluta: dopo il parto infatti, Caterina restava, accudiva, ascoltava, consolava, diventando così parte della famiglia.
Era lei a bucare per prime le orecchie delle neonate, i famosi “buchiorecchi”. Ma anche con i maschietti sapeva muoversi con precisione e tatto, le sue mani ferme e una parola dolce faceva calmare il bambino che smetteva di piangere.
Nel 1957 si trasferì a Roma con il marito e la loro unica figlia, Ina. Il marito aprì un bar ai Parioli e, per far stare buona la piccola, arrivava persino a metterla dentro il contenitore delle caramelle, un’immagine che racconta la vita semplice e piena d’amore di quella famiglia. A Roma la sua fama crebbe; le donne della capitale la volevano, preferendo partorire in casa affidandosi a lei. Furono tre anni intensi, poi la famiglia tornò a Sferracavallo.
I rappresentanti di latte in polvere e biscotti, che conoscevano bene la sua fama, si presentavano alla sua porta. Lei prendeva i prodotti e li donava alle famiglie più bisognose. Sua figlia Ina Procopio, sempre accanto a lei, osservava ed imparava in silenzio cosa significasse prendersi cura degli altri.
Caterina profumava di borotalco e zagara, e ogni neonato era come un figlio. Madre biologicamente una sola volta, fu madre mille volte, perché ogni parto le rimaneva dentro. Spesso faceva da madrina ai bambini che aveva fatto nascere. Ancora oggi, a Sferracavallo, la figlia Ina viene fermata per strada e riconosciuta come “la figlia di Caterina”.
Ma Caterina Mannino è stata molto più che una ostetrica, è stata un simbolo di libertà e concretezza, in un tempo in cui di libertà femminile si parlava poco. Le sue mani curavano, i suoi occhi rassicuravano, anche nei momenti più duri.
A Sferracavallo non esistono vie, né targhe a lei dedicate ed è un’assenza pesante che dovrebbe essere colmata per onorare chi ha rappresentato la forza autentica di questa comunità. Di lei restano i racconti, i bambini ormai adulti, le madri che l’hanno amata e il battito del mare di Sferracavallo, che sembra ancora chiamarla nelle notti senza luna.
“Vieni Caterì, sta nascendo.”
Ricordare Caterina non significa celebrare solo la sua memoria, ma rendere omaggio a tutte quelle donne forti, silenziose, indimenticabili che, partendo da una piccola borgata marinara hanno lasciato un segno profondo nella loro comunità, senza mai cercare applausi.
Perché Caterina è stata vita. E la vita, se donata con amore, non muore mai.