Sabato, 30 settembre 2023 a Città del Mare Albo scuole: No, non si può morire svolgendo la propria attività lavorativa, non è accettabile al giorno d’oggi che la fatalità la faccia da padrone e sia considerata la causa di tante tragedie. Anche perché l’ormai frequente fenomeno delle così dette “morti bianche” sembra purtroppo essere diventato una mattanza quotidiana, un bollettino di guerra, un cancro sociale difficile da curare, visto che ogni giorno sono molti a perdere la vita proprio sul posto di lavoro, ormai si muore anche svolgendo uno stage di lavoro, quel lavoro che in Italia è un diritto costituzionale, basti pensare all’articolo 1 che recita come l’Italia sia “una Repubblica Democratica fondata sul lavoro”. Quindi, se è vero che lo Stato dà così tanta importanza alla funzione lavorativa dell’individuo, al tempo stesso diritto e dovere del cittadino, perché non è ancora così importante la tutela dei lavoratori? Perché sempre più spesso ci sconvolgono notizie, lontane o vicine, di tragiche morti o gravi infortuni avvenuti nell’esercizio della propria attività? In tal senso esistono effettivamente tante norme che trattano di prevenzione e sicurezza, e probabilmente quello che manca è un’accurata vigilanza sull’applicazione e sul rispetto di tali regole, ma le notizie di morti avvenute sul lavoro sono sempre più frequenti e non sempre si tratta di fatalità. Spesso gli incidenti avvengono perché non vengono mantenuti i necessari standard di sicurezza, non facendo le dovute manutenzioni per non interrompe o rallentare la produzione, oppure non si rispettando i turni di riposo, con la stanchezza che allenta l’attenzione. Possono essere tante le cause, ma qualsiasi sia il motivo contingente, il fatto è che i morti aumentano, e nessuno ormai se ne preoccupa più di tanto, come se questi eventi non facessero più notizia e non importassero alla collettività, mentre invece sono tragedie inaccettabili per un paese “civile”, se così si può chiamare un paese dopo tutto ciò, dopo aver rovinato famiglie, dopo aver reso dei bambini orfani, dopo aver lasciato sole centinaia di mogli che quel giorno non aspettavano altro che rivedere il marito tornare dal lavoro. Siamo di fronte ad una strage silenziosa perché quasi nessuno ne parla, a meno che non si tratti di una vera e propria sciagura o sia accaduto a qualcuno vicino personalmente, come se il triste evento fosse accaduto per sfortuna o per caso, come se queste morti fossero “innocenti”. Ma qui gli unici innocenti sono le persone che perdono la vita per il mancato rispetto delle norme sul lavoro, perché per avere maggiore sicurezza bisognerebbe investire molti soldi, mentre a quanto pare il denaro vale più di una vita. Le chiamano “morti bianche” perché in questi omicidi spesso non è mai presente un colpevole, un responsabile, o meglio c’è ma non si vede mai. E se si riesce ad accusare qualcuno, non di rado tribunali lo proscioglie. Se ne parla per un po’ e poi? Le vittime e le loro famiglie vengono silenziosamente e indifferentemente dimenticate. Stato, sindacati e rappresentanti delle imprese devono perciò cercare di arginare o quanto meno abbassare il tasso di mortalità provocato da questa piaga a dir poco tremenda, si deve prevenire il rischio e collaborare per la sicurezza, poiché questa è un’emergenza sociale che colpisce la coscienza di tutti. Non immagino il dolore di quelle famiglie che perdono un padre, un figlio o un marito a causa della poca, quasi inesistente cultura della sicurezza. Per la nostra società civile, lottare per trovare un ambiente di lavoro sicuro è invece fondamentale, fermo restando l’impegno che si deve chiedere ai nostri governi perché creino le condizioni generali per garantire il diritto al lavoro. Sarà tutto difficile, ma dovrà essere la grande scommessa del domani di noi giovani