Una scena vuota, nuda, un coro avvolto in lunghi drappi neri, un violoncello che scandisce il tempo dello spazio e del racconto, luci che creano tridimensionalità, vapori che spuntano da ogni dove e che diventano ora nebbia che offusca la vista ora fumo di libagione.

Tutto questo è “Antigone”, l’opera di Sofocle che sarà portata in scena lunedì 6 giugno in doppia replica, alle 18.30 e alle 20.30, presso il Teatro Donnafugata di Ragusa Ibla.

“Antigone” è il frutto del laboratorio di recitazione condotto dall’attore e doppiatore ragusano Giuseppe Ferlito, presso il liceo Classico di Ragusa, inoltre questa stessa opera, che sarà in scena lunedì prossimo, vanta la regia dello stesso Giuseppe Ferlito, il quale, già apprezzato come attore, vanta questa nuova veste di regista.

Giuseppe Ferlito, un piacere rivederti nuovamente in scena. Ti conosciamo come attore, ovvero personaggio davanti la telecamera. Com’è Giuseppe Ferlito dietro la telecamera?
Quando sono sul palco e lavoro come attore solitamente provo a cercare la verità: a sentire le cose come le sentirebbe il personaggio che sto interpretando, a muovermi come lo farebbe lui e ad usare le parole che ho a disposizione, come unica via possibile per la costruzione del carattere. Il lavoro da regista non è molto diverso da quello dell’attore: è sempre la verità che cerco, solo in una visione d’insieme.”

Tre aggettivi per descrivere “Antigone”
“Antigone” è uno spettacolo didattico, attuale ed emozionante. Didattico, perché ho costruito le scene della messinscena didascalicamente: mi sono sempre ricordato, sin dall’inizio del mio corso con i ragazzi, di non avere davanti a me attori formati, ma adolescenti appassionati, e non posso non tener conto anche del pubblico a cui lo spettacolo è destinato: gli alunni. Il mio lavoro, quindi, è stato quello di spogliare la mia regia di ogni “orpello” che potrebbe distogliere dalla comprensione della trama, che non significa spiegare ogni cosa bensì rendere più fruibile la storia.

Poi è certamente attuale. È oltremodo facile pensare che una tragedia di 2500 anni fa sia distante dai noi proprio perché concepita in un’epoca lontanissima. Antigone in fondo desidera una degna sepoltura per Polinice, il fratello morto in battaglia, ma l’autorità (l’Editto di Creonte) lo vieta. Questo è il punto: è giusto che un editto pubblico possa imporre che un cadavere non debba ricevere degna sepoltura? Sembrerebbe davvero una questione lontana dai nostri giorni; eppure, troppo spesso abbiamo sentito di funerali che non potevano essere celebrati, troppo spesso abbiamo visto molte famiglie vivere i propri lutti in solitudine, senza poter onorare i propri defunti a causa del lockdown imposto dalla pandemia.

E infine, è uno spettacolo emozionante. È con amore che si chiude questa storia, in questa mia regia. L’amore vince sempre, nonostante gli editti, nonostante l’incomunicabilità, le minacce, i soprusi, le scelleratezze. E Antigone lo sa bene, ecco perché dice a Creonte: “non sono nata per odiare ma per amare”.