Tanti gli italiani all’estero che hanno perso il lavoro e non possono rientrare a casa. Come Francesco Cammuca, 19 anni, che si definisce un prigioniero in terra straniera. A gennaio aveva lasciato Palermo, la sua città, in cerca di un lavoro e si era trasferito a Londra. Arrivato nella capitale inglese, aveva trovato subito un posto di lavoro in un’azienda dell’aeroporto. Un contratto a tempo determinato ma andava bene, quello era un inizio. E invece ora, dopo due mesi, arriva un virus chiamato Covid-19 che sconvolge il mondo e si porta via vite umane. Le fabbriche, le ditte, i negozi chiudono e anche la sua azienda. I più anziani in servizio conservano il posto di lavoro grazie agli ammortizzatori sociali o la cassa integrazione. Chi invece è entrato nell’organico da poco, come lui, non ha diritto a nulla e riceve la lettera di licenziamento. Francesco adesso è solo a Londra, senza un lavoro e senza più alcun motivo di restare lì. Vorrebbe tornare a casa dalla sua famiglia a Palermo ma i decreti che impongono le restrizioni negli spostamenti glielo impediscono. Anche dallo Stretto di Messina possono passare solo i pendolari che svolgono servizio pubblico, come sanitari, forze armate e di polizia. Scrive una lettera allora Francesco, lunga e accorata al presidente della Regione Sicilia, Nello Musumeci ,chiedendogli di poter rientrare a casa, dove lui, per lo Stato, ha ancora la sua residenza. Il giovane ha fatto richiesta di rientro alla Protezione civile e all’Asp, consapevole di dover osservare, arrivato a Palermo, un periodo di isolamento volontario. Ma l’ingresso nell’isola non gli viene consentito. Il giovane siciliano ha già acquistato un biglietto aereo Londra- Palermo con scalo a Roma Fiumicino con partenza lunedì 30 marzo ma molto probabilmente sarà fermato a Roma e non potrà proseguire il suo viaggio. “Per me non cambierà nulla. Sarò solo anche in quel caso a Roma. Presidente – scrive così nella sua lettera a Musumeci ancora Francesco – le chiedo di non abbandonare noi ragazzi che abbiamo avuto la sfortuna di dover lasciare la nostra amata Sicilia in cerca di un lavoro che non ora non c’è più. Le nostre radici devono pur contare qualcosa”.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *